I salumi: dagli Etruschi al Prosciutto di Parma

Malgrado una storia della salumeria, italiana e mondiale, ancora non sia stata scritta, molti sono gli elementi che inducono ad attribuirle un’origine prevalentemente mediterranea e in particolare italiana.
In primo luogo vi sono il clima e un territorio dove vi è ampia disponibilità di sale marino o d’affioramento. In secondo luogo vi è stato il trasferimento alla carne, soprattutto di maiale, delle tecnologie prima di salatura e poi fermentative, sviluppate per altri alimenti. L’applicazione alla carne dell’essiccamento e della salagione ha assunto e poi mantenuto una sua specificità.
Importante per la sua affermazione è stato inoltre lo sviluppo dell’impero romano e del commercio degli alimenti conservati, necessari al sostentamento sia delle popolazioni urbane (Roma sopra le altre città) sia degli eserciti romani, utilizzando una vasta, capillare ed efficiente rete viaria.
Sulle rotte del Mare Nostrum e sulle vie consolari, accanto alle anfore contenenti vino, olio, frumento e fichi secchi, vengono trasportati carni secche (siccamen), prosciutti (perna), abbondante lardum, sulcia e insicia, salumi tra i quali sono particolarmente noti quelli della Lucania (lucanica).

L’USO ALIMENTARE DEL MAIALE NELL’ANTICHITA’
Il maiale, come animale selvatico (cinghiale) o semiselvatico o domestico, è sempre stato impiegato nell’alimentazione europea, dove non risultano esserci i divieti o tabù che invece riguardano altre aree culturali, tra le quali sono da ricordare quella egiziana per taluni periodi storici, ebrea e musulmana.
Reperti ossei preistorici, davanti alle grotte o nei primi insediamenti umani costituiscono una documentazione precisa dell’uso alimentare del maiale, che continua presso gli etruschi, i galli e soprattutto i romani della pianura padana.
Per quanto riguarda la nascita della salumeria parmigiana, importante è stato il ruolo degli etruschi, che secondo le fonti a disposizioni degli studiosi già nel V secolo a.C. trasformano le cosce di maiale in prosciutti e protoprosciutti, che poi vengono commerciati. In epoca romana dalla Gallia cispadana, partono per Roma grandi quantità di cosce di maiale salate.
Sono note descrizioni precise delle tecnologie di produzione delle carni salate di maiale, ma di quali prosciutti (perna) e salumi (lucaniche) si trattava?
Molti sono gli autori che attestano come presso i romani si operasse la trasformazione delle carni suine in salumi. Polibio, M. Porzio Catone, Ovidio, il celebre gastronomo Apicio e Catone il Censore sono solo alcuni tra coloro che citano nei loro scritti, prosciutto, mortadella, prodotti affumicati.

I SALUMI NEL MEDIOEVO

Nel medioevo è diffusa l’abitudine di tagliare il maiale a metà in senso longitudinale, costituendo due mezene, da cui il termine ancora diffuso di mezzena, che vengono conservate tramite salagione.
In Francia le mezzene sono denominate baccones da cui il bacon inglese. Quando il maiale non è conservato intero, si salano le parti più pregiate: coscia o prosciutto e gambuccio, scamarita (parte della schiena vicina alla coscia), spalla.
Le parti meno pregiate non vengono salate a causa dell’alto prezzo del sale.
La presenza di fonti di acque salse nella pianura padana favorisce naturalmente in quest’area lo sviluppo della produzione di carni salate.
Numerose sono le testimonianze iconografiche dell’uso padano di conservare il maiale sotto forma di insaccati.
Tra le spezie di cui è documentato l’uso nei secoli passati, e fin dal medioevo, si possono ricordare il pepe ed altre spezie d’origine orientale: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, zenzero, comino, zafferano; oppure le erbe aromatiche prodotte negli orti casalinghi: timo, maggiorana, salvia, anice, rosmarino, prezzemolo, coriandolo, ma soprattutto l’aglio.
Il maiale é inoltre una preziosa fonte di grasso. Il lardo fin dal periodo longobardo era conservato tramite salatura; i muratori longobardi ricevono una quota fissa di lardo di circa cinque chilogrammi per il loro sostentamento prima di iniziare il lavoro stagionale

TRA MEDIOEVO ED ETA’ MODERNA: LE CORPORAZIONI Con la rivoluzione agraria dell’anno Mille, la pianura padana è disboscata e le acque sono regolate; si riduco o scompaiono gran parte degli animali che sfruttano l’incolto, non il maiale, che anzi trae vantaggio dal nuovo assetto.
Tra i XII ed il XVII secolo si osserva un forte sviluppo dei mestieri legati alla trasformazione delle carni di maiale e nello stesso periodo compare la figura del norcino, che crea nuovi prodotti salumieri.
Queste figure professionali si organizzano in corporazioni o confraternite.
A Bologna sorge la Corporazione dei Salaroli, a Firenze, all’epoca dei Medici, la Compagnia dei Facchini di San Giovanni Decollato della Nazione Norcina.
Papa Paolo V, con la bolla Pastoris aeterni (1615), riconosce la confraternita norcina dedicata ai santi Benedetto e Scolastica che, otto anni più tardi, il suo successore Gregorio XV eleva ad arciconfraternita alla quale, nel 1667, aderisce anche l’Università dei Pizzicaroli Norcini e Casciani e dei Medici Empirici Norcini.
Bandi e statuti prescrivono norme precise per chi voglia esercitare l’arte di lardarolo e salcizzaro. Così, nel 1547, dopo essersi costituiti, non senza difficoltà, in corporazione autonoma da quella dei beccai (macellai), i salcizzari modenesi stabiliscono che «non si lascia fare salcizza alcuno che non sia stato gargione di salcizzaro per anni tre continui».
Ancora, il Bando sopra le mortadelle stabilisce che non si possa «fabbricare mortadelle e salumi d’altra sorta di carne, che di porcina, e a chi ne avesse fabbricato, comprato od introdotto d’altra carne, benché minima di essa, vuole Sua Eminenza che in termine di otto giorni dalla pubblicazione del presente Bando debba denonciare». Perfetta qualità della carne, dunque, e provata competenza del norcino sono i requisiti richiesti per esercitare la professione.

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