Aceto, l’agro di vino

La storia dell’aceto è antichissima. Citato ripetutamente dalla Bibbia (homez), se ne sono trovate tracce in un vaso dell’Egitto di circa diecimila anni, a testimonianza del fatto che gli Egizi, così come i Babilonesi e i Persiani, lo conobbero e lo impiegarono per la conservazione dei cibi. Plinio afferma invece che si tratta di una decomposizione del vino, e narra come esso sia utile, diluito con acqua, per dissetare i legionari durante le lunghe e fiaccanti marce.
La bevanda detta ‘posca’ era in uso nell’antica Roma che, per via della sua economicità, era diffusa presso il popolo ed i legionari. La si ricavava miscelando acqua e aceto, ottenendo così una bevanda dissetante, leggermente acida, e dalle proprietà disinfettanti. Potevano essere aggiunte spezie e miele per migliorarne il sapore.

Marco Gavio Apicio, a cui è attribuito uno dei più famosi trattati sulla cucina dell’antica Roma (De re coquinaria utilizza la posca come ingrediente di alcune sue ricette.
Nel medioevo si faceva un grande uso di aceto, come eccipiente per farmaci o prodotti cosmetici, come solvente nell’industria, per preparare amalgami, estrarre colori.

L’arte di preparare l’aceto si affina e compare l’Agresto, un aceto preparato a partire dall’uva ancora acerba che, con il proprio sapore fresco e acidulo, rimedia al grasso eccessivo dei condimenti. A Orléans, nel 1394, la neonata Corporazione dei fabbricanti d’aceto impone ai propri membri il più stretto segreto sui metodi della lavorazione, pena l’espulsione. Ciò contribuirà a rendere famosi gli aceti di Orléans che daranno vita a una vera e propria industria, fiorente nei secoli

La vera e propria industria dell’aceto nasce nei Comuni medievali: è del 1394 la prima costituzione della ‘Corporazione dei Fabbricanti d’Aceto’, i cui membri dovevano avere una consolidata pratica, ed erano obbligati a mantenere il segreto della fabbricazione.
Ciò, tuttavia, non impedì che l’aceto fosse preparato nelle famiglie, e nelle comunità religiose, partendo dalle feccie del vino, dalle vinacce, dai graspi, dai germogli della vite, e da vini alterati

E’ di un certo Donizone, monaco benedettino vissuto fra l’undicesimo ed il dodicesimo secolo, la prima testimonianza scritta sul balsamico.

Nella sua cronaca “Vita Mathildis”, racconta come , in occasione di una sosta a Piacenza nell’anno 1046, il re e futuro imperatore Enrico II di Franconia mandasse un suo messaggero al marchese Bonifacio di Canossa, padre di Matilde, “poiché voleva di quell’aceto che gli era stato lodato e che si faceva nella rocca di Canossa”

In questo racconto non è menzionata la parola “balsamico”, ma abbiamo comunque la testimonianza di quanto già allora quell’ aceto fosse considerato importante al punto di farne dono ad un imperatore che, pur venendo da così lontano, ne conosceva l’esistenza.

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