Le lasagne di Apicio

Nel IV Libro del De re coquinaria di Apicio ritroviamo le lagane cucinate in modo da trasformarle quasi in un emblema del “mangiar da ricchi”.

Sono infatti composte alternando strati di svariate polpe di carne e pesce, sminuzzate, bollite e insaporite con ogni ben di Dio, con strati di sfoglia: «quotquot posueris, tot trullas impensae desuper adficies» (quante sfoglie porrai, altrettanti ramaioli gettavi sopra di condimento). Infine «unum vero laganum fistula percuties, et superimpones» (una di quelle sfoglie spianala bene col mattarello e stendila sopra come coperta).

Il testo apiciano si dilunga nella descrizione della preparazione degli impasti della carne e degli intingoli, ma non dice nulla a proposito di come si doveva procedere nella confezione delle lagane: questo dimostra indirettamente che all’epoca a nessuno era sconosciuto questo tipo di pasta né come si faceva.

Sempre nel IV libro della sua opera Apicio ci fornisce un’informazione molto importante riguardo la pasta e in particolare riguardo la pasta secca. Egli suggerisce infatti di usare, a dire la verità come addensante, specie per il brodo, le tractae: «cum furberit, tractam confriges, obligas», quando bolle rompi una sfoglia di pasta e con questa addensa. E, nel Libro VIII, in una delle sue complicate ricette per stracotti, si accenna alle tractae, da sminuzzare nel sugo per infittirlo (“… tractam siccatam confringes et partitibus caccabo permisces”).
Le tractae erano ottenute lavorando gli impasti di farina in modo che risultassero ben schiacciati e pressati e così lievitassero meglio. Il fatto poi che fosse una sfoglia da spezzare, non lascia dubbi: si tratta di una sfoglia secca, e perciò frantumabile. Ma si può fare anche un’altra deduzione e cioè che si trattasse di una sfoglia di semola di grano duro, poiché il termine tracta indica un grande sforzo di mani, sforzo che sarebbe stato certamente minore se si fosse impastato con farina di grano tenero. E forse queste tractae, usate da Apicio in modo per così dire indiretto, cioè in pietanze rese nobili e ricche da altri ingredienti, altro non sono che una versione povera delle lasagne, o meglio, di quelle stesse lagane che Orazio mangiava con porri e ceci.

In: APICIO, De re coquinaria, Libro IV, Libro IX.
E in: APICIO C., Delle vivande e condimenti, ovvero dell’Arte della cucina. Venezia (I), 1852.
da: MONDELLI Mariaelena, Antico e vero come la pasta. Ricerca ragionata delle fonti storiche e documentali. Parma (I), 1998, p. 10;
PORTESI Giuseppe, L’industria della pasta alimentare. Roma (I), Molini d’Italia, 1957, p. 12.

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