DOP

I Tipici

Pane di Altamura DOP

Il Pane di Altamura DOP ha un sapore unico e inimitabile, frutto della tipica lavorazione artigianale, tramandata dall’antica tradizione, ma anche delle specifiche condizioni climatiche e ambientali in cui viene prodotto. Il pane di Altamura e’ ufficialmente il primo prodotto in Europa a fregiarsi del marchio DOP nella categoria merceologica ”Panetteria e prodotti da forno”. DOP significa: “Denominazione Origine Protetta”, DOP Nel panorama degli oltre 1000 varietà di pane prodotti in Italia (fonte INSOR) solo il Pane di Altamura beneficia del riconoscimento DOP europeo. E’ prodotto solo all’interno della zona d’origine con grano raccolto esclusivamente nella zona d’origine. Ogni forma è garantita dal Consorzio di Tutela. Così, al momento della scelta siete certi che il Pane di Altamura è una deliziosa genuinità. Di Pane di Altamura così ce n’è uno solo. Il tipico Pane di Altamura dalle inconfondibili qualità alimentari, unico per fragranza e sapore: colore giallo, crosta croccante, mollica soffice e porosa, lunga conservabilità. Il pane di Altamura si ottiene dall’impasto di semola di grano duro rimacinata delle varietà appulo, arcangelo, duilio e simeto. Le sue origini sono antiche e legate al mondo e alle tradizioni contadine della zona. Il metodo di lavorazione e gli ingredienti sono ancora quelli utilizzati in passato: una matrice di lievito chiamato anche pasta acida, sale marino e acqua. La lievitazione è di tipo naturale e la cottura avviene in forni a legna. La forma del pane è piuttosto grande e tradizionalmente si presenta accavallata.Il pane di Altamura era particolarmente apprezzato per la sua capacità di resistere morbido, fragrante e gustoso per giorni e giorni, peculiarità che, unita alle componenti nutrizionali, ne faceva in passato l’alimento principe delle tavole degli agricoltori della zona. .  La denominazione di origine protetta “Pane di Altamura” è propria del pane ottenuto mediante l’antico sistema di lavorazione (a lievito madre o pasta acida-sale marino-acqua) e dall’impiego di semole rimacinate di varietà di grano duro coltivato nei territori dei comuni della Murgia nord-occidentale Il pane prodotto è considerato di qualità “unica”, perché derivato da ottimi grani duri, ottenuti in un ambiente con specifici fattori geografico-ambientali, da cui è caratterizzato il territorio della Murgia nord-occidentale e dall’impiego di acqua potabile normalmente utilizzata sul territorio   In passato il pane era impastato in casa e portato al forno dove, prima della cottura, veniva marchiato a fuoco con un ferro recante le iniziali del capofamiglia che aveva prodotto la pasta. Si utilizza anche secco per preparare un piatto povero tradizionale, la “cialled” fatto col pane bagnato in un brodo di verdure, cipolla ed aglio, condito poi con olio extravergine d’oliva e peperoncino.

I Tipici

Canestrato Pugliese DOP

La vocazione silvo-pastorale dell’Alta Murgia ha una storia millenaria che si intreccia con quella del canestrato pugliese, legato alla transumanza delle greggi da dicembre a maggio tra le montagne dell’Abruzzo e il Tavoliere delle Puglie. Tipico delle province di Foggia e Bari, deve il suo nome ai canestri di giunco, le cosiddette fiscelle, dentro i quali  trascorre la prima parte della stagionatura e che sono uno dei prodotti piú tradizionali dell’artigianato locale . Il suo nome deriva dai canestri di giunco pugliese, entro cui lo si fa stagionare, i quali sono uno dei prodotti più tradizionali dell’artigianato locale L’ arte casearia che dà origine a questo prodotto ha fatto sì che esso divenisse un alimento tipico con il marchio DOP con D.p.r. del 10 set. 1985 e a Denominazione di origine protetta nel 1996 con il reg. n.1107/96 Descrizione:  Formaggio stagionato a pasta dura non cotta prodotto esclusivamente con latte di pecora intero proveniente da una o due mungiture giornaliere. La crosta di colore marrone tendente al giallo, più o meno rugosa dura e spessa, viene trattata con olio di oliva miscelato ad aceto di vino. Il colore della pasta è di colore giallo paglierino più o meno intenso in relazione alla stagionatura, che i protrae da 2 a 10 mesi in locali freschi debolmente ventilati. La pasta ha struttura compatta alquanto friabile, discretamente fondente, e sapore piccante caratteristico piuttosto marcato. E’ un ottimo formaggio da tavola insieme a fave, pere o verdure crude in pinzimonio  e vini bianchi o rosati secchi quando è più giovane; accompagnato da sedano, cicoria, olive nere e ravanelli e servito, scheggiato dalla forma, insieme a vini rossi strutturati ed invecchiati, se è più stagionato. Ma trova la sua massima espressione, quando la maturazione non è inferiore a 6 mesi, grattugiato su piatti di pasta asciutta al ragú di carne o di involtini.  Disciplinare

I Tipici

Strachìtunt DOP

Una delle gemme più rare e preziose delle Prealpi italiane, lo Strachitunt è un saporito formaggio erborinato dalle antiche origini prodotto in Valle Brembana, Valle Taleggio e Valsassina, il cui nome deriva dalla traduzione bergamasca di stracchino tondo. È un formaggio a latte vaccino intero crudo, prodotto con l’antica tecnica delle due paste, che consiste nell’unione a strati della cagliata della sera, o cagliata fredda, lasciata sgocciolare in tele di lino per almeno 12 ore, con la cagliata della mattina, o cagliata calda. Da quest’unione si ottiene un formaggio a forma cilindrica con pasta compatta, marmorizzata, bianca con piccole venature verde-bluastre. La crosta è sottile e rugosa a volte fiorita di colore giallognolo tendente al grigio. Il sapore è aromatico ed intenso, variabile da dolce a piccante e può assumere connotazioni più pronunciate con il protrarsi della stagionatura. Allo Strachitunt è stato recentemente riconosciuto il marchio DOPLo strachitunt è un formaggio storico che ben rappresenta, insieme al Taleggio, la tradizione casearia della Val Taleggio. Ritenuto l’antenato del Gorgonzola, viene prodotto ancora con le tecniche tramandate nei secoli,partendo dal latte, che è lavorato crudo, quindi senza nessuna pastorizzazione così come avveniva un tempo. Il disciplinare prescrive altresì che il latte venga munto da vacche di sola razza Bruna Alpina, che pascolino e vivano stabilmente durante tutto l’anno nel territorio della Val Taleggio (e limitrofi) e che vengano alimentate con razioni che siano composte per almeno il 70% da erbe o fieno. .L’allevamento dei bovini da latte e l’attività casearia sono state da fin dai tempi remoti, con quella del taglio e dello sfruttamento del bosco, le fondamentali fonti di sostentamento della gente della Valle Brembana e in particolare di quella della Val Taleggio, una valle bella ma sostanzialmente povera. A testimoniarlo, oltre che la tradizione orale, vi sono diversi riferimenti bibliografici.Secondo lo scrittore romano Strabone durante la dominazione romana, gli abitanti delle nostre valli, per procurarsi le cose più necessarie alla vita, scendevano verso i centri abitati portando in cambio resina, miele e formaggio. Sembra infatti che l’industria casearia fosse già allora molto fiorente. Sicuramente quell’industria si è notevolmente sviluppata nel corso del Medioevo (come testimoniato da una pergamena del 1380 vista in copia da Francesco Biava Salvioni1, dopo la metà del 1300), la Valle, come segno di sudditanza, è obbligata a mandare al duca di Milano – ducentum pensa casei boni pulchri ac bene axaxonati -. Duecento pesi (un peso valeva oltre 7 kg) di “formaggio bello e buono e ben stagionato”. Forma dialettale di “stracchino rotondo”, lo Strachítunt rappresenta una variante artigianale e di grandissimo pregio della Val Taleggio. E’ un formaggio a due paste, cioè ottenuto mescolando la cagliata della sera con quella del mattino.Il latte, proveniente da allevamenti della stessa provincia di Bergamo, fresco e intero della mungitura serale è lavorato con una tecnica simile a quella di tutti i formaggi stracchini.Si usa circa il 17% di latte intero sul quantitativo totale che si desidera produrre, e lo si lavora appena munto.Nel caso si fosse raffreddato lo si porta a 37-38 °C e vi si aggiunge il caglio.Si lascia coagulare ed estratta la cagliata la si lascia raffreddare in teli di lino posti a sgocciolare per tutta la notte a circa 18°C, in ambienti con elevata umidità.Il giorno dopo, con identica lavorazione, si lavora un quantitativo di latte pari all’83% del totale. Si estrae la cagliata, sempre in teli di lino e la si lascia sgocciolare per circa 30 minuti. Quando si pone la nuova cagliata negli stampi rotondi, si alterna uno strato di cagliata appena prodotta, e quindi calda, e uno della sera precedente e quindi fredda, sbriciolandola uniformemente sul primo strato e amalgamandola in parte con lo strato sottostante. Si procede in questo modo formando solitamente 5 strati di cagliate, tre della mattina e due della sera.Una volta costituita la forma definitiva si procede alla stufatura e alla salatura a secco, la prima volta la sera stessa e la seconda la mattina seguente.Dopo circa 30 giorni, la forma è bucata per favorire lo sviluppo delle muffe.Le due cagliate, infatti, avendo diversa consistenza, non si amalgamano bene e lasciano dei piccoli spazi che in seguito alla foratura si riempiono di aria. È proprio in questi spazi che le muffe naturali iniziano a sviluppare la loro caratteristica efflorescenza.La produzione migliore si ottiene durante l’estate, probabilmente per il più alto carico microbico e per la temperatura più indicata per questo tipo di lavorazione. Tra la versione invernale e quella estiva, come tutti i formaggi a latte crudo, vi sono delle differenze organolettiche le quali diventano sostanziali tra la versione di alpeggio (baite in montagna) e quella di caseificioIl gusto varia, infatti, con il prolungarsi della stagionatura, perché le muffe si moltiplicano e tendono a dare una punta di amaro, come peraltro succede con il gorgonzola.Con stagionature brevi, invece, il gusto dolce della pasta è predominante e rende il prodotto molto delicato.Ogni forma è un piccolo capolavoro di artigianalità: nella pasta si formano naturalmente quelle muffe che alla bontà e genuinità del prodotto aggiungono, con l’affinamento, la giusta piccantezza. Quando lo assaggerete, chiudete gli occhi e pensate a quanta storia, tradizione ma anche fatica, sacrifici e amore per la propria terra si cela dietro a questo piccolo-grande prodigio: solo così potrete dire di aver gustato a pieno lo STRACHITUNT.

I Tipici

Il Grana Padano DOP

Il Grana Padano nacque intorno all’anno mille, nell’area lombarda compresa tra il Po a sud e Milano a nord, e delimitata dai fiumi Adda e Mincio. In quel periodo, l’opera di bonifica compiuta dai monaci Cistercensi dell’abbazia di Chiaravalle diede vigore all’allevamento del bestiame, determinando una produzione di latte decisamente superiore al fabbisogno della popolazione. Fu proprio per sfruttare l’eccedenza di latte che i monaci, con geniale intuizione, misero a punto la “ricetta” del Grana Padano, un formaggio a pasta dura che, stagionando, manteneva i principi nutritivi del latte di partenza, concentrati e arricchiti di un gusto inconfondibile, fatto di colori, sapori e profumi che meritano di essere conosciuti e apprezzati.L’origine della produzione è contesa tra Lodi e Codogno, ma si è presto diffusa dagli Appennini alle Alpi, comprendendo l’intera vallata del Po; fonti del XII secolo già documentano la nascita dei primi caseifici.La lunga conservabilità ne ha favorito il fiorente commercio ben oltre i confini della zona di produzione, fino alle tavole delle corti rinascimentali. Durante gli anni di carestia però, riuscì anche a sfamare la gente delle campagne, diventando poi uno dei pilastri dell’economia agricola padana.Il rispetto delle antiche metodologie produttive ha permesso di mantenerne inalterati nei secoli il sapore e l’aspetto e per garantire e proteggere la tipicità della produzione, nel 1954 viene costituito il Consorzio di Tutela , allo scopo di promuovere anche la ricerca tecnica per un continuo miglioramento della qualità.Il mercatoInsieme, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano coprono più dell’85% di tutto il mercato italiano dei formaggi duri. Due gi-ganti assoluti, quindi, che se da un lato presentano innegabili elementi di somiglianza, dall’altro si diversificano per alcune particolarità essenziali che li rendono inconfondibili nelle rispettive caratteristiche di gusto, aroma e consistenzaLa presenza del marchio è già un’implicita garanzia di qualità.La forma non deve presentare al suo interno spaccature o crepe, difetti che possono preludere a squilibri di sapore (soprattutto verso un piccante improprio), la crosta deve avere un giusto spessore (5 – 6 millimetri), mentre la pasta deve mostrare una consistenza soda e decisa, con una buona resistenza alla penetrazione.Sulle caratteristiche del formaggio incide naturalmente anche il tempo di stagionatura: col passare del tempo, il grana incrementa una piacevole tendenza a fondersi in bocca. Un carattere di qualità è anche nella struttura “a scaglia”, per cui, nel prodotto molto maturo, la pasta si stacca a lingue sottili, secondo una disposizione a raggi convergenti verso il centro della forma. L’eccesso di secchezza e l’eventuale sabbiosità non sono caratteri positivi, mentre la presenza di granuli bianchi nella pasta non è da valutare negativamente.

I Tipici

Crudo di Cuneo DOP

La zona di produzione ha da secoli una vocazione all’allevamento dei suini e alla lavorazione delle loro carni. I prodotti ottenuti, fra cui i prosciutti, hanno rappresentato una fonte alimentare insostituibile sia per l’apporto proteico che per i grassi, essendo l’area priva di fonti alternative quali l’olivo. Gli innumerevoli conventi e abbazie presenti sul territorio possedevano allevamenti e destinavano locali alla macellazione e lavorazione delle carni suine. Frammenti di libri contabili del Monastero degli Agostiniani di Fossano – Cussanio, del 1630 circa, parlano della stagionatura dei prosciutti nella “stanza del paradiso”, della destinazione della “noce” (parte nobile) per la tavola del vescovo e dell’abate e del “fiore” ai frati anziani e alle persone degne di riguardo. Il microclima condizionato da una parte dalle correnti d’aria tiepide e secche che salgono dalla Liguria e dalla Provenza e dall’altra dalle correnti d’aria che scendono dalla Val Susa creando una sorta di barriera ventosa, garantisce condizioni di bassa umidità relativa che, insieme alle escursioni termiche stagionali e giornaliere, contribuiscono in modo peculiare nella fase di stagionatura, agendo sul sapore e sull’odore caratteristico del prodotto. Il tempo di stagionatura minimo è di 10 mesi dall’inizio lavorazione, il peso compreso fra 7 e 10 Kg a stagionatura ultimata.

I Tipici

Mozzarella di Bufala Campana DOP

Le origini della Mozzarella di Bufala Campana Dop – oggi prodotta in Campania, Lazio, Molise e Puglia – sono collegate alla presenza del bufalo in Italia, secondo alcuni originario dell’India orientale, secondo altri di origine autoctone e secondo altri ancora introdotto dai Longobardi o dai Normanni intorno all’anno 1000. La confusione forse è dovuta al fatto che i Romani chiamavano bubalus buoi, alci ed altri ruminanti. Il nome della mozzarella, che deriva dall’operazione finale di formatura a mano, viene citato per la prima volta da un cuoco della corte papale nel XVI secolo. Ma già nel XII secolo, in occasione della festa del santo patrono, i monaci del monastero di S. Lorenzo in Capua nel casertano usavano offrire una “mozza o provatura” accompagnata da un pezzo di pane. A metà del Settecento i Borboni crearono un allevamento di bufalo e un caseificio nella tenuta reale di Carditello. Nelle piane del Volturno e del Sele sono ancora visibili le antiche bufalare, costruzioni circolari in muratura con al centro un camino per la lavorazione del latte e piccoli ambienti destinati all’alloggio dei bufalari. Descrizione: Latticino freso a pasta filata ricavato esclusivamente da latte di bufala intero fresco, particolarmente ricco in grasso e proteine. Al termine della maturazione, la cagliata viene ridotta a strisce, tritata e posta in appositi mastelli. Segue la lavorazione a mano in acqua bollente, fino a farla “filare” per ottenere la particolare consistenza e il bouquet determinati dalla microflora che si sviluppa durante la lavorazione. Viene quindi mozzata in singoli pezzi nelle forme e dimensioni previste e posta prima in acqua, fino a rassodamento, e poi in salamoia. Disciplinare: Reg. CE n. 1107 del 12.06.96 (GUCE L 148 del 21.06.96)

I Tipici

Castelmagno DOP

Il Castelmagno deve il suo nome al comune omonimo della Valle Grana, nelle Alpi Cozie, in Piemonte, dove viene prodotto da tempo immemorabile.Il primo documento ufficiale a registrare l’esistenza e l’apprezzamento del Castelmagno è una sentenza arbitrale del 1277. la sentenza riguarda l’usufrutto dei pascoli delle Grange Martini, nella Comba di Narbona, ai confini tra Castelmagno e Celle Macra.Nella controversia, il comune di Castelmagno ebbe la peggio ed il prezzo della sconfitta impose il pagamento di alcune forme di formaggio come canone annuo da versare al marchese di Saluzzo.Apprezzato per la sua qualità, fin dalle sue origini, è stato però riscoperto a livello nazionale ed internazionale solo in anni recenti grazie all’opera di razionalizzazione e standardizzazione delle tecniche di produzione che, seppur tramandate da secoli nelle loro linee generali, restano completamente artigianali e registrano molte varianti legate ai luoghi, ai tempi e ai metodi di lavorazione adottati dai singoli produttori che pur riducendosi di numero, raffinano e migliorano le tecniche di lavorazione del Castelmagno, adoperandosi per una più attenta tutela del marchio.Oggi, la zona di produzione e stagionatura – da cui deve provenire anche il latte destinato alla trasformazione – è rigorosamente limitata, dal disciplinare di produzione, ai tre comuni dell’alta valle: Castelmagno appunto, Pradleves e Monterosso Grana. Le caratteristiche del Castelmagno sono legate all’origine della materia prima, al luogo e al metodo di trasformazione.La particolare varietà e la fragranza delle erbe presenti nei pascoli – caratterizzati da una flora costituita da graminacee dei generi Poa e Festuca – dell’alta valle Grana costituiscono il presupposto fondamentale per comprendere appieno la qualità, il sapore e il profumo di questo eccellente prodotto caseario .Il latte proviene da vacche appartenenti alle razze tipiche dell’arco alpino in particolare la Piemontese, la Bruna Alpina e le varie Pezzate Rosse.Il latte destinato alla produzione del Castelmagno deve essere esclusivamente crudo e proveniente da un minimo di due a un massimo di quattro mungiture consecutive (al quale possono essere aggiunte piccole quantità di latte ovino o caprino).Dopo l’eventuale scrematura per affioramento, va riscaldato alla temperatura di 30-38 °C la coagulazione avviene in un tempo tra i 30 e i 90 minuti.Quando il coagulo ha raggiunto un sufficiente grado di rassodamento lo si rivolta. Successivamente lo si rompe mantenendolo sempre all’interno del siero di lavorazione chiamato tradizionalmente “la laità”.La rottura successiva viene effettuata dapprima grossolanamente e poi in modo sempre più fine sino ad ottenere granuli caseosi omogenei delle dimensioni da un chicco di mais a nocciola.La cagliata viene messa in una tela asciutta e pulita chiamata “risola” in tessuto vegetale o sintetico. La risola va poi eventualmente pressata e appesa oppure appoggiata su un piano inclinato. Si lascia, quindi, riposare per almeno 18 ore, necessarie perché il siero residuo fuoriesca senza l’azione di pressature.Trascorso questo periodo la cagliata viene messa in recipienti immersa nel siero che con il passare delle ore potrà diminuire ed infine coperta per un periodo che va dai 2 ai 4 giorni.Successivamente viene rotta e poi finemente tritata, rimescolata e salata.Il prodotto viene avvolto in una tela di tessuto vegetale o sintetico ed introdotta nelle “fascelle” di formatura in legno o altro materiale idoneo ove rimane per almeno 1 giorno ad una adeguata pressatura manuale o meccanica. Sulla base delle favelle viene posizionata una matrice recante il marchio di origine che sarà impressionato sulla forma.È consentita un’ulteriore salatura delle forme a secco per dare colore e consistenza alla crosta del formaggio.La maturazione avviene in grotte naturali ed umide o comunque in locali che ripetano dette condizioni ambientali per un periodo minimo di 60 giorni su assi di legno o altro materiale idoneo.Il formaggio Castelmagno prodotto e stagionato può portare la menzione aggiuntiva “di Alpeggio” se: il latte proviene esclusivamente da vacche, capre e pecore mantenute al pascolo in alpeggio per il periodo compreso tra maggio e ottobre e la caseificazione è effettuata in malga. Disciplinare: Reg. CE n. 1263 del 01.07.96 (GUCE L 163 del 02.07.96) fonte comunità montana vallegrana

I Tipici

Riso di Baraggia DOP

L’indicazione D.O.P. «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese» si riferisce a diverse varietà del cereale della specie Oryza sativa L. ottenuto mediante l’elaborazione del riso grezzo o risone a riso «integrale», «raffinato» e «parboiled». Il Riso di Baraggia Biellese e Vercellese si distingue per la tenuta alla cottura, superiore consistenza e modesta collosità caratteristiche attribuibili tra l’altro a rese più basse e cicli vegetativi più lunghi rispetto a quelli rinvenibili in altre zone.La coltivazione del riso nell’area delimitata della Baraggia si ritrova agli inizi del XVI secolo ed ha riscontri anche in atti notarili dell’anno 1606 nel Comune di Salussola. In epoche successive, la specificità del riso fu descritta per circa 50 anni nel «Giornale di Risicoltura», edito dall’ex Istituto Sperimentale di Risicoltura di Vercelli, che riportò frequentemente articoli tecnico scientifici per motivare le peculiari caratteristiche del prodotto e dell’area di baraggia. Lo stesso Istituto, nel 1931, acquisì al centro della Baraggia un’azienda risicola utilizzandola quale centro di ricerca allo scopo di perfezionare le specificità di produzione dell’area baraggiva.Anche l’Ente Nazionale Risi, nella rivista «Il Riso», in diversi articoli sottolineava le peculiari caratteristiche di qualità del riso prodotto in quest’ area. L’area di produzione si caratterizza infatti per la difficoltà di livellamento dei terreni per la particolare struttura argilloso-ferrosa che determina anche differenziate condizioni di sommersione, oltre al clima caratterizzato da mesi estivi piuttosto freschi nonché da frequenti inversioni termiche favorite dall’ingresso dei venti che discendono dai monti. Inoltre la presenza di acque fredde nella zona, situata ai piedi delle Alpi, fa si che questa zona sia la prima ad essere irrigata dai torrenti di montagna.

I Tipici

Ricotta Romana DOP

I primi riferimenti storici sulla Ricotta Romana risalgono ai tempi dei Romani, quando Columella, nel “De re Rustica”, descrive le tecniche casearie utilizzate per ottenere i vari formaggi, tra cui la Ricotta. Il latte di pecora aveva tre destinazioni: la prima di natura religiosa/sacrificale; la seconda alimentare come bevanda o come ingrediente per varie preparazioni; la terza per l’ottenimento del formaggio di pecora fresco e stagionato, oltre l’utilizzo del siero residuo dapprima per ottenere la ricotta, poi per alimentare i maiali. Ercole Metalli, in “Usi e costumi della campagna romana” (1903), parlando dei pecorai riporta: “Pongono poi nuovamente la caldaia al fuoco per estrarne la ricotta. La ricotta, insieme a poco pane, rappresenta il loro esclusivo alimento”. In passato la paga dei pecorai consisteva in una lira e cinquanta centesimi al giorno, oltre al pane, al sale, alla ricotta e alla polenta. Considerata erroneamente un formaggio, la ricotta è in realtà un derivato della lavorazione del siero, e non del latte. Nell’Agro romano la ricotta per eccellenza è quella di pecora, ma si produce anche da vacca, capra e bufala. Il nome è dovuto al fatto che durante la lavorazione del formaggio la cagliata viene separata dal siero che viene riscaldato per una seconda volta: appunto, ricotto (dal latino recoctus, cotto due volte). I piccoli fiocchi bianchi cominciano ad affiorare una volta raggiunti gli 85 gradi e, consolidandosi, formano una massa bianca. Vengono estratti usando un mestolo forato e trasferiti nelle fiscelle, appositi cesti che una volta erano fatti col giunco. Qui la ricotta rimane per tre o quattro ore, finchè non si asciuga. La Ricotta Romana DOP presenta una pasta a struttura molto fine, compatta, bianca e con un sapore delicato e dolciastro, elementi che la distinguono dalle altre tipologie di ricotta. Le razze ovine (e relativi incroci) coinvolte sono: Sarda e suoi incroci, Comisana e suoi incroci, Sopravissana e suoi incroci, Massese e suoi incroci.

Torna in alto