Lazio

Ricette, Tradizioni

Pappafuocchie

Una pasta fatta in casa con acqua e farina che viene tagliata a mano in maniera irregolare. Il piatto unico esalta il gusto della tradizione contadina con il prodotto tipico locale: il Fagiolo Bianco Cannellino di Atina, prodotto di origine protetta DOP dosi per 12 persone½ Kg. di fagioli cannellini di AtinaLardo  di nero gr. 501 Sedano,1 Carota,1 Cipolla,Aglio,Olio,Sale,PeperoncinoPasta fatta in casa di sola acqua e farina kg. 1,00 Prezzemolo Prima di tutto mettere a cuocere i cannellini con abbondante acqua fredda in una pentola con sedano, carota e cipolla, meglio se la pentola è di ampio diametro.Preparare a parte un battuto di lardo di Nero, aglio e peperoncino. Soffriggere il battuto nell’olio, sempre in una padella capiente,  stando attenti a non bruciarlo.Cuocere per cinque minuti la pasta fatta a mano, composta con sola acqua e farina.Versare nella padella del soffritto i fagioli a cottura ultimata e iniziare ad insaporire insieme al battuto addizionando abbondante prezzemolo.Infine unire la pasta con un po’ di acqua di cottura dei fagioli e lasciare assorbire per altri 2 minuti.Far riposare nella ciotola di coccio prima di servire perché la pietanza deve presentarsi piuttosto asciutta. www.lecannardizie.it

Ricette, Tradizioni

Vignarola

Una delle minestre recentemente riscoperte è la vignarola, un‘esaltazione della primavera dove non può mancare il carciofo romanesco. Di questo piatto, che esprime la vera tradizione laziale a tavola, manca purtroppo una documentazione storica e la ricetta è arrivata fino a noi tramandata dalla memoria dei nonni e degli osti romaneschi. Così come per la bazzoffia, simile per preparazione e ingredienti, paesi e famiglie se ne contendono la supremazia ritenendosi depositari della versione più autentica. L’etimologia del nome potrebbe essere legata al nome attribuito agli ortolani (“vignarolo”) oppure al fatto che veniva consumata dopo le fatiche nell’orto, ma senza dubbio è imparentata con le zuppe gustate già ai tempi di Orazio e Catone.  Ingredienti (per 4 persone): 200 gr di guanciale (o pancetta), gr 300 di piselli sgranati, gr 300 di fave sgranate, 6 carciofi tagliati a spicchi non troppo grossi, 1 piccola cipolla o cipollotto, 2 cuori di lattuga, mentuccia (facoltativa), crostini di pane, olio evo, sale grosso, pepe in grani.  Preparazione: Tagliate a fettine sottili la cipolla, fatela dorare con un poco d’olio e il guanciale, unite i legumi e le verdure. Bagnate il tutto con circa un litro d’acqua, salate, pepate e cucinate coperto fino a raggiungere la densità desiderata (meglio se le verdure restano abbastanza intere). Unite la mentuccia e servite con crostini di pane raffermo, rosolati nell’olio o tostati in forno.

Vini

Aprilia DOC

La presenza della viticoltura, preromana, iniziò a declinare ai tempi Plinio per i disboscamenti selvaggi che provocarono la formazione di zone acquitrinose e paludose. Al Rinascimento risalgono i primi lavori di bonifica, proseguiti sul finire del Settecento fino a quella definitiva del 1930. L’arrivo di 60mila contadini veneti, friulani ed emiliani a popolare l’Agro bonificato diede origine ad una vitivinicoltura che dall’autoconsumo (con varietà tipiche delle loro terre di provenienza come il Sangiovese ed il Merlot) passò progressivamente ad una viticoltura da reddito. La combinazione tra la natura vulcanica del terreno, l’orografia pianeggiante o dolcemente collinare e il clima mediterraneo rendono quest’area altamente vocata ad una produzione di pregio Abbinamenti: piatti a base di verdure e di pesce, cozze alla marinara (Bianco); piatti corposi e piccanti, abbacchio al forno, spaghetti alla carbonara, salumi, funghi, pecorino romano (Rosso, Rosato, Merlot). Disciplinare: Approvato DOC con Dpr 13.05.66 (G.U. 174 – 16.07.66)

Ricette, Tradizioni

Bucatini all’amatriciana

L’amatriciana è un condimento per la pasta che ha preso il nome da Amatrice, cittadina in provincia di Rieti. Quando è nata l’amatriciana, Amatrice faceva parte del Regno delle Due Sicilie, dipartimento dell’Abruzzo Ultra. Contrariamente a quanto si pensi, dunque, non ha alcun legame storico con la città di Roma, all’epoca capitale dello Stato della Chiesa, ancorché sia ben apprezzata dai Romani. Essi l’hanno importata piuttosto tardi, dopo l’annessione delle Due Sicilie e dello Stato pontificio al Regno di Sardegna, dai pastori di Amatrice, i quali transumavano con le loro greggi nella campagna romana durante il periodo invernale ed erano soliti recarsi a Roma per vendere i loro prodotti caseari e le carni ovine e bovine. Prima di chiamarsi amatriciana, si chiamava gricia (o più propriamente griscia); questo nome deriva da un piccolo paesino a pochi chilometri da Amatrice, frazione del comune di Accumoli, di nome Grisciano. La griscia, ricetta antichissima (probabilmente precedente alla scoperta dell’America, da cui l’ortaggio rosso proviene), era ed è ancora conosciuta come l’amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti. Ancora oggi nel paese natìo, si svolge la Sagra della pasta alla Griscia il 18 di Agosto (vedi Sagra della pasta alla Griscia).L’utilizzo del pomodoro con gli spaghetti fu descritto per la prima volta dal gastronomo francese Grimond de la Reyniére nel 1807 nell’Almanach des gourmandes: è probabilmente nel periodo della conquista napoleonica (1798-1814) che l’uso del pomodoro come sugo di condimento della pasta si diffonde lungo la penisola italica. È consuetudine cucinare l’amatriciana con i bucatini, ma gli abitanti di Amatrice sono assolutamente rigorosi nel mantenere la tradizione degli spaghetti con il sugo all’amatriciana, per la quale hanno anche richiesto nel 2004 l‘Indicazione Geografica Tipica alla comunità europea Ad Amatrice si dice dell’amatriciana: “La pecora mite ed il bravo maiale diedero insieme formaggio e guanciale“. Questo ad indicare le origini povere della famosa ricetta.Avrete certamente notato l’assenza di cipolla od aglio che spesso sono la base di altri condimenti mediterranei e questo appunto perché si tratta di una ricetta nata da povera gente. Il detto sottintende anche l’uso delle poche cose di cui si dispone, in effetti l’antica popolazione locale era tipicamente rurale e più dedita all’allevamento che all’agricoltura. La ragione di ciò risiede nel fatto che il paese ed il suo territorio si estendono in una conca circondata di montagne, parliamo di quasi mille metri di altitudine e più. Nelle descritte condizioni, terreni scomodi e clima non del tutto favorevole, i prodotti della terra erano limitati, tanto più quando si parla di pomodoro che desidera sole e clima temperato per ben maturare.Tutto questo porta a pensare che l’originaria ricetta fosse “in bianco” come quella che a Roma è chiamata gricia. La ricetta è diventata famosa con l’uscita della stessa dal ristretto ambito della conca amatriciana.Le genti del comune di Amatrice hanno sempre avuto due canali preferenziali per l’emigrazione: Roma e gli Stati Uniti d’America. Gli uomini ed in seguito anche le donne, si recavano nella Capitale in via stagionale o permanente a prestare la loro mano d’opera per quel che sapevano fare. Tra i vari umili lavori che facevano, alcuni hanno iniziato a lavorare nei grandi alberghi come garzoni di cucina. Proprio questi , nel tempo, acquisendo esperienza, divenivano cuochi (allora non c’era la scuola alberghiera) e chiamavano altri ragazzi dai loro paesi a lavorare nelle cucine creando un flusso costante che sino agli anni ‘60 ha creato la fama di cuochi degli amatriciani ed ancor prima la fama della ricetta che, forse proprio in tali insalubri luoghi di lavoro, ha visto la riuscita commistione con il pomodoro. La sagra degli spaghetti all’amatriciana si tiene in Amatrice, generalmente durante l’ultimo fine settimana di agosto; esiste anche una più recente sagra degli spaghetti alla gricia che si tiene in Grisciano, paese sulla via Salaria non lontano da Amatrice, sempre in agosto. Ingredienti per 4 persone 500 g di spaghetti (no bucatini),100 g di guanciale di maiale,100 g di pecorino,500 g di pomodori pelati o polpa, 1 cucchiaio di olio extra vergine d’oliva,1/2 bicchiere di vino bianco secco,sale, poco peperoncino Descrizione: Tagliuzzare il guanciale a dadi in maniera grossolana. I dadi non devono essere troppo sottili altrimenti tendono ad imbiondire troppo rapidamente e alla fine potrebbero risultare troppo duri. Metterli a cuocere in una padella di ferro con l’olio ed il peperoncino. Aggiungere poi il vino e appena evaporato se il guanciale risulta sufficientemente imbiondito all’esterno ma ancora tenero all’interno, vanno tolti dalla padella e conservati al caldo in un fazzoletto di carta. A questo punto aggiungere all’olio i pomodori (se pelati vanno spezzettati con le mani)e un poco di sale e farlo cuocere a sufficienza. Dopodiché inserire il guanciale che si era messo da parte, ravvivare il fuoco per qualche minuto ed il sugo è pronto. Scolate gli spaghetti al dente in una casseruola, unite la salsa appena preparata ed unite una bella spolverata di pecorino appena grattato.

Ricette

La Sbroscia di Bolsena

La sbroscia è uno dei piatti a base di pesce più antichi di Bolsena. È una sorta di zuppa di pesce preparata dai pescatori sulle rive del lago, la tradizione vuole che questa zuppa fosse preparata con l’acqua del lago di Bolsena.In un recipiente di terracotta vengono messi i tranci di pesce possibilmente di diverse specie. Un pesce che non può mancare nella “sbroscia” è la tinca, ma si utilizzano anche: luccio, persico reale, anguilla, latterini ed anche granci e gamberi di lago. Ingredienti:     1 Tinca,   4 Pesce persico,    1 Luccio    1 Anguilla,    ½ Cipolla,    3 cucchiai d’olio    ½ Aglio,    1 Peperoncino    Mentuccia,    Pomodorini,    2 Kg. di Patate,    Sale     Venti fette di pane raffermo Preparazione:Provvedete alla pulitura del pesce, in un tegame di coccio fate soffriggere mentuccia, aglio e cipolla precedentemente tritati aggiungendo 2 cucchiai di olio.Pelate le patate e tagliatele a dadi.Tagliate a pezzetti i pomodorini e uniteli al soffritto insieme al pesce.Aggiungete circa un l,5 l di acqua (possibilmente di lago, come da tradizione), salate e proseguite la cottura a recipiente coperto per 30 m.Distribuite le fette di pane nelle scodelle e ricopritele con la zuppa, aggiungete l’olio rimastoE’ usanza mangiare la “sbroscia” con le mani.

Vini

Frascati DOC

I vigneti storici si trovano in collina su terreni di origine vulcanica del versante settentrionale dei Colli albani. La sua origine risale all’epoca degli splendori della Roma imperiale. Nel 1515 lo Statuto di Marcantonio Colonna ne dettava le regole per l’impianto, la misura, la lavorazione e la vendita. Apprezzato da secoli da papi, re e poeti e servito alle mense principesche e borghesi di Roma, fu accolto un’ottantina di anni fa nell’esclusiva cantina di Buckingham Palace. Il nome è legato all’abitudine degli osti della zona di sistemare fuori dalla porta la legna da ardere raccolta nei boschi demaniali della zona. Dalle frasche derivarono il nome le osterie stesse, le “fraschette” e della città, che poi lo passò al vino. Descrizione: Colore paglierino più o meno intenso. Odore vinoso, con profumo caratteristico delicato. Sapore sapido, morbido, secco, amabile o abboccato. Titolo alcol. minimo: 11,5%. Abbinamenti: antipasti, primi piatti della tradizione locale (fregnacce alla reatina, stracciatella alla romana, pasta e fagioli, pasta e broccoli in brodo d’arzilla, acquacotta, bucatini all’amatriciana), secondi piatti di pesce e carni bianche (fritto alla romana, saltimbocca alla romana, scaloppine, seppie un umido, calamari ripieni, pollo con peperoni), formaggi di media stagionatura e, con il tipo dolce o amabile, amaretti di guarcino, pupazza di frascati, ciambelle al vino, tozzetti e castagnole. Tipologie: Frascati, Frascati Superiore, Frascati Cannellino, Frascati Spumante. Vitigni: Malvasia bianca di Candia e/o Malvasia del Lazio (Malvasia puntinata) 70-100%; Bellone e/o Bombino bianco e/o Greco bianco e/o Trebbiano toscano e/o Trebbiano giallo 0-30%; Altre varietà di vitigni a bacca bianca per lo 0-15% di questo 30%. Disciplinare: Approvato DOC con DPR 03.03.1966 (G.U. 119 – 16.05.1966), poi il tipo Cannellino e Superiore approvati DOCG come Cannellino di Frascati e Frascati Superiore con Dm 20.09.2011

I Tipici

Ricotta Romana DOP

I primi riferimenti storici sulla Ricotta Romana risalgono ai tempi dei Romani, quando Columella, nel “De re Rustica”, descrive le tecniche casearie utilizzate per ottenere i vari formaggi, tra cui la Ricotta. Il latte di pecora aveva tre destinazioni: la prima di natura religiosa/sacrificale; la seconda alimentare come bevanda o come ingrediente per varie preparazioni; la terza per l’ottenimento del formaggio di pecora fresco e stagionato, oltre l’utilizzo del siero residuo dapprima per ottenere la ricotta, poi per alimentare i maiali. Ercole Metalli, in “Usi e costumi della campagna romana” (1903), parlando dei pecorai riporta: “Pongono poi nuovamente la caldaia al fuoco per estrarne la ricotta. La ricotta, insieme a poco pane, rappresenta il loro esclusivo alimento”. In passato la paga dei pecorai consisteva in una lira e cinquanta centesimi al giorno, oltre al pane, al sale, alla ricotta e alla polenta. Considerata erroneamente un formaggio, la ricotta è in realtà un derivato della lavorazione del siero, e non del latte. Nell’Agro romano la ricotta per eccellenza è quella di pecora, ma si produce anche da vacca, capra e bufala. Il nome è dovuto al fatto che durante la lavorazione del formaggio la cagliata viene separata dal siero che viene riscaldato per una seconda volta: appunto, ricotto (dal latino recoctus, cotto due volte). I piccoli fiocchi bianchi cominciano ad affiorare una volta raggiunti gli 85 gradi e, consolidandosi, formano una massa bianca. Vengono estratti usando un mestolo forato e trasferiti nelle fiscelle, appositi cesti che una volta erano fatti col giunco. Qui la ricotta rimane per tre o quattro ore, finchè non si asciuga. La Ricotta Romana DOP presenta una pasta a struttura molto fine, compatta, bianca e con un sapore delicato e dolciastro, elementi che la distinguono dalle altre tipologie di ricotta. Le razze ovine (e relativi incroci) coinvolte sono: Sarda e suoi incroci, Comisana e suoi incroci, Sopravissana e suoi incroci, Massese e suoi incroci.

Ricette, Tradizioni

Bazzoffia dell’Agro Pontino

Zuppa di verdure e legumi (un tempo aggiungevano anche le lumache) tipica della provincia di Latina, da cucinare solo nelle poche settimane tra la primavera e l’estate in cui negli orti si trovano tutti gli ingredienti freschi. Ingredienti1 lattuga romana lavata, asciugata e tagliata a listarelle1 cipolla tritata3 carciofi privati delle foglie esterne più dure e tagliati a spicchi150 gr di fave fresche sgranate300 gr di piselli freschi sgranati4 cucchiai di olio extravergine di oliva4 fette di pane casereccio4 uova Preparazione: Rosolare la cipolla nell’olio, unire le verdure e coprire con 1.5 l di acqua bollente, salare e pepare. Coprire con un coperchio e cuocere a fuoco basso fino a quando le verdure non diventeranno morbide. Rompere delicatamente le uova in una scodella e unirle intere alla zuppa, continuando la cottura per altri 5 minuti. Disporre le fette di pane in scodelle individuali, deporre su ognuna un uovo e versare la zuppa bollente. Spolverizzare con pecorino grattugiato e servire ben caldo. Abbinamenti: Vini: Atina Rosso, Cesanese di Affile, Vignanello Rosso fonte: Il manuale del Borghigiano

Vini

Est! Est!! Est!!! di Montefiascone DOC

Il primo censimento al quale si può fare riferimento è quello effettuato nello Stato Ecclesiastico nel 1656. Nel volume «Vallerano e le confraternite» scritto da Mons. Manfredo Manfredi e pubblicato nel 1996 è indicato che il maggiore sostentamento delle locali confraternite era rappresentato dalla vendita delle castagne. Nella rivista Geografica Italiana 87 (1980) è indicato che la coltura del castagno esisteva già nell’anno 1500. Nel 1584 il Principe Farnese autorizzò l’esportazione delle castagne ai paesi vicini solo verso quelli che potevano fornire in contropartita cereali. Negli atti del Convegno internazionale tenuto a Spoleto nel 1993 viene indicata la piazza di Vallerano quale centro più importante del Viterbese sia per la produzione che per la commercializzazione di questo prodotto. Il legame tra Vallerano e la castagna è altresì riscontrabile dalle grotte tufacee con vasche per la cura a freddo delle castagne ai fini conservativi del prodotto Viti selvatiche, nella zona dell’Est! Est!! Est!!! sono documentate sin dal X-IX sec. a. C.. La vocazione vitivinicola di Montefiascone traspare già dal nome della città e dal suo stemma. L’Est Est Est lega il suo nome alla leggenda di Johannes Defuk, personaggio di rango, giunto nel 1111 in Italia al seguito dell’Imperatore Enrico V. Questi, conservando una grande predilezione per il buon vino, si narra che abbia invitato il suo servitore Martino a precederlo, nel viaggio verso Roma, e a selezionare per lui i vini delle migliori cantine indicando la presenza di un buon vino con un “Est” sulla porta delle osterie. Defuk scendeva da cavallo e gustava il vino ogni volta che si imbatteva in questo segno. Giunto a Montefiascone incontra un’osteria segnata con tre Est, segno di eccellenza. Beve per due giorni, decide di abbandonare il corteo imperiale e di trasferirsi a Montefiascone fino alla morte, avvenuta nel 1113. La DOC “Est! Est!! Est!!! di Montefiascone”, anche nella tipologia Classico e Spumante è riservata ai vini bianchi ottenuti dai seguenti vitigni: Trebbiano Toscano, detto Procanico (dal 50 al 65%); Malvasia bianca lunga e/o del Lazio (dal 10 al 20%); Trebbiano Giallo, detto Rossetto (dal 25 al 40%). E’ un vino, anche per la tipologia Classico, dal colore paglierino più o meno intenso; profumo fine, caratteristico, leggermente aromatico; sapore secco o abboccato o amabile, sapido, armonico, persistente con leggera vena amarognola. Gradazione minima: 10,5° e 11,5° per il Classico. Lo Spumante ha spuma fine, persistente; colore giallo paglierino tenue; profumo gradevole con caratteristiche di fruttato delicato; sapore secco, fruttato, lievemente aromatico. Gradazione minima: 11°. L’Est! Est!! Est!!! si accompagna bene con antipasti magri e delicati, minestre a base di pesce e con i pesci di acqua dolce, come la “minestra di tinca coi tagliolini”, la “tinca con i piselli”, la zuppa col pesce di lago denominata “sbroscia”. Il tipo Spumante può essere bevuto con i dolci a base di ricotta (crostata con la ricotta, ravioli lessi con la ricotta, ciambellone con la ricotta) e con i “tozzetti di Viterbo”.

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